3. ADOLESCENTI: BACCO, TABACCO E .....
TELEVISIONE
di ALBERTO PELLAI
Uno dei settori in cui
maggiormente è dimostrabile la correlazione tra mass media e comportamenti da
essi indotti è quello che vede coinvolte le multinazionali del tabacco e
dell'alcool, le cui politiche di marketing prevedono una strategia molto
aggressiva per conquistare al mercato nuovi acquirenti e consumatori
appartenenti alla fascia d'età adolescenziale e giovanile. L'efficacia della
comunicazione pubblicitaria in questo ambito è dimostrata dall'entità
dell'investimento che ogni anno le multinazionali impegnano in attività
promozionali: ben 8.000 milioni di dollari vengono infatti spesi per far
comprare prodotti a base di alcool e tabacco e, di questo denaro, soltanto un
terzo è impiegato in pubblicità diretta (spazi pubblicitari che invitano
all'acquisto del prodotto, situazione tra l'altro vietata per legge in Italia
per le sigarette) mentre i restanti due terzi vengono utilizzati per attività di
marketing indiretto quali sponsorizzazione di eventi sportivi o concerti rock
oppure pubblicità passiva od occulta, striscioni negli stadi o adesivi sui
caschi o sulle automobili di Formula 1. Ogni giorno l'industria del tabacco ha
bisogno nei soli Stati Uniti di 3.000 nuovi fumatori per garantirsi margini di
profitto e guadagno adeguati alle proprie previsioni e valutazioni economiche.
Non per nulla, negli U.S.A. l'86% degli adolescenti che fumano, preferisce
sigarette di una delle tre marche maggiormente pubblicizzate dai mass media.
Effettivamente la presenza di messaggi diretti o indiretti (e quindi con potere
di convincimento subliminale) promuoventi l'uso (e abuso) di sostanze ad azione
psicotropa è assai ridondante all'interno dei mass media.
L'analisi di un
campione di 36 ore di programmi televisivi ha evidenziato come in esso fossero
riscontrabili 149 messaggi correlati all'abuso di alcol e sostanze ad azione
psicotropa. In tale studio, un messaggio veniva considerato a sostegno di alcol
o sostanze stupefacenti quando non era evidenziabile alcun elemento che ponesse
una luce negativa su tale comportamento. Dei 149 messaggi analizzati, ben 121
erano a favore di tali comportamenti, non essendo stato possibile rintracciare
alcun fattore di condanna o di denuncia. Soltanto in 21 casi la problematicità e
le conseguenze derivate dall'abuso di sostanze ad azione psicotropa ricevevano
menzione. L'indice a favore di tali comportamenti passava da 6 contro 1 a 10
contro 1 quando, dalla totalità, venivano isolate le sole situazioni che
avevano a che fare con il consumo di alcol.
L'aggressività con cui le
multinazionali del tabacco si rivolgono ai mass media per uncinare giovani
consumatori è legata alla crisi di mercato riscontrata durante gli anni '80,
quando le campagne di prevenzione e i gruppi per i diritti dei non fumatori sono
riusciti a creare un movimento di opinione e a promuovere una serie di leggi che
hanno drasticamente ridotto il numero di sigarette vendute e fumate tra la
popolazione adulta, condizione che a tuttoggi non ha, invece, ancora interessato
il mercato delle bevande alcoliche. L'industria del tabacco ha, perciò,
immediatamente intuito che l'unica possibilità per mantenere elevati livelli di
profitto consisteva nell'ampliamento della popolazione dei nuovi consumatori e,
quindi, nel reclutamento di nuovi fumatori tra i preadolescenti e gli
adolescenti. I risultati non hanno tardato a farsi evidenti: nel quinquennio
1991-95, negli U.S.A. la percentuale di studenti della scuola superiore che
fumano è cresciuta del 7%, passando dal 28% al 35%, (anche se fra questi, la
percentuale di quelli che dichiarano di fumare con regolarità tutti i giorni è
pari al 3.5%) .
In questo stesso periodo di tempo, J.Pierce e il suo
gruppo in California hanno monitorato 1752 adolescenti che non avevano
mai fumato nel 1993 mettendo in correlazione la loro esposizione a messaggi
promozionali con il loro comportamento di fumatori nei successivi tre anni e
hanno dimostrato che il 34% di tutte le sperimentazioni di tabacco da parte di
individui compresi nella fascia d'età 12-17 anni sono da attribuirsi alle
iniziative promozionali promosse dalle multinazionali del tabacco. Rapportato
alla popolazione generale, questo comporta che più di 700.000 adolescenti
statunitensi sperimentano il fumo di sigarette grazie alle strategie di
marketing aziendale. Questo dato è tanto più grave poichè la ricerca dimostra
che quanto prima un ragazzo comincia a fumare e tanto maggiore è la sua
probabilità di divenire dipendente dalla nicotina, come dimostra il fatto che
l'89% dei fumatori abituali ha provato la sua prima sigaretta prima di
raggiungere i 18 anni e che 3 adolescenti fumatori su 4 pur provandoci non sono
più capaci di smettere di fumare.
La pubblicità diretta ed indiretta,
la "glamourizzazione" (effetto che rende socialmente accettabile, desiderabile
ed addirittura eleva a status symbol una serie di comportamenti che invece hanno
ricadute negative sullo stato di salute individuale e collettivo) del tabacco
che da essa ne deriva sono un fenomeno voluto e ricercato dei responsabili di
marketing delle multinazionali e risponde a strategie di immagine ben precise.
Infatti, mentre per vendere un detersivo o una passata di pomodoro si ricorre ad
un prototipo di pubblicità che potremmo definire "FUNZIONALE", che decanta cioè
le caratteristiche e funzioni del prodotto in oggetto in modo tale da spingere
il potenziale consumatore all'acquisto, alcol e tabacco si servono di spot e
messaggi maggiormente basati su un modello di pubblicità "PROIETTIVA" o, a
volte, identificatoria. Nella modalità proiettiva, lo spot mostra un luogo, una
situazione sociale o un gruppo al quale sarebbe bello appartenere e che presenta
caratteristiche assai lontane da quelle dello spettatore. La pubblicità degli
alcolici tende, per esempio, a proiettare il potenziale consumatore in un mondo
di gente benestante e caratterizzata da elevato tenore di vita, dove tutto è
luccicante, bello, elegante. Quasi sempre, perciò, queste pubblicità offrono
suggestione, incanto, modelli di uomo e donna verso i quali tendere e ai quali
desiderare di assomigliare. Succede, infatti, molto frequentemente che la
desiderabilità di una situazione proposta dai media provochi un subconscio
meccanismo di identificazione con la situazione proposta, tale da indurre nello
spettatore una conseguente ed inconsapevole aspettativa verso se stesso, dalla
quale il soggetto riesce a liberarsi soltanto attraverso l'imitazione del
comportamento in questione.
La più eclatante delle operazioni pubblicitarie
effettuate per promuovere il consumo di tabacco tra i più giovani è quella
promossa dalla Camel negli Stati Uniti. La Camel ha "rivoluzionato" la modalità
con cui venivano solitamente pubblicizzate le sigarette, affidandola ad un
persoanggio dei cartoni, tale Joe Camel, cammellino antropomorfo, con uno stile
alla James Bond, sempre ai bordi di una piscina o in sella a moto di
grande
cilindrata e costantemente in compagnia di
bellissime ragazze. Naturalmente Joe Camel fa tutte queste cose con la sigaretta
in bocca, e la sigaretta è sempre una Camel. Joe Camel ha stravolto le regole di
marketing delle sigarette. Portando il linguaggio dei cartoni animati dentro
alla pubblicità del tabacco, la Camel ha cercato di normalizzare l'immagine
della sigaretta fin dall'età più precoce, promuovendo l'induzione di attitudini
positive nella mente dei piccoli spettatori. E' in questo modo che ...piccoli
futuri fumatori crescono e a conferma di questa affermazione ci sono i dati di
profitto e vendita. Rispetto ad un campione di popolazione adulta, più del
doppio degli spettatori bambini che avevano assistito allo spot avente come
protagonista Joe Camel sono stati in grado di associarlo alle sigarette Camel e
hanno ritenuto molto divertente lo spot pubblicitario. In soli tre anni, dopo
l'introduzione del personaggio Joe Camel negli spot pubblicitari, la Camel ha
ampliato di ben 64 volte la sua fetta di mercato "adolescente". Le preferenze
dei ragazzi americani nei confronti delle sigarette Camel è passata dallo 0.5%
al 32% e il fatturato delle Camel legato alla vendita di sigarette ai minori è
passato, nello stesso arco di tempo, da 6 milioni di dollari a 476 milioni di
dollari. E' indubbio che i mass media hanno una capacità non facilmente
comparabile nell'influenzare le scelte dei ragazzi, anche (e forse
soprattutto)
quelle legate ai comportamenti a rischio. Per esempio, due
ricerche indipendenti condotte negli Stati Uniti hanno dimostrato che le tre
marche di sigaretta per le quali vengono spese le più alte cifre in pubblicità
sono quelle che risultano più popolari anche tra gli adolescenti.
Il problema
fondamentale è che moltissime volte la trasmissione di messaggi e valori, la
creazione di attitudini positive verso comportamenti che dovrebbero invece
essere contrastati e allontanati, avviene in modo ambiguo e subliminale, quasi
indiretto e toglie allo spettatore la possibilità di porsi con consapevolezza
rispetto ai messaggi che lo colpiscono e nei confronti dei quali dovrebbe agire
capacità critiche e di pensiero. Non va dimenticato che tale esercizio del
pensero critico e logico-astratto che pure l'adolescente possiede, è comunque
messo in crisi dal già precedentemente citato fenomeno della "pseudostupidità".
E' indubbio: in questi anni le multinazionali del tabacco e dell'alcool stanno
cercando di convincere gli adolescenti a "dire sì" alle sigarette e alla birra
mentre tutto il resto della società sta cercando di far loro "dire no" a
qualsiasi tipo di droga. Si è calcolato che un adolescente per ogni messaggio
preventivo contro le sostanze ad azione psicotrope che riceve, viene raggiunto
da almeno 25-50 spot relativi a birra e bevande alcoliche. L'alcol, del resto,
viene presentato nei media con una frequenza che è almeno tre volte superiore a
quella di qualsiasi altra bevanda.
Sono dati che confermano la complessità
comunicazionale che un adolescente, crescendo, si trova a dover fronteggiare.
Non deve essere facile districarsi in questa giungla di messaggi, che colpiscono
forte la mente e la fantasia di chi li percepisce. Si collocano tra conscio e
inconscio e hanno spesso facile gioco del proprio bersaglio,
frequentemente
abituato a ricevere il messaggio comunicato, ma non a decodificarlo,
interpretarlo, relativizzarlo. Di nuovo, in mezzo a questa entropia di messaggi,
servirebbero adulti attenti e competenti, capaci di proporre alternative e
aiutare il preadolescente a smontare e ricostruire ciò che il piccolo schermo ed
i mass media gli forniscono come dato assoluto, non interpretabile e che non può
essere messo in discussione. Non c'è dubbio che la desiderabilità e l'appeal con
cui i media sanno presentare e proporre comportamenti e prodotti contrari
al
benessere, agiscono attraverso l'attivazione di processi consci e
subconsci, secondo modalità che possono essere sia separate che combinate.
Poichè la comprensione degli intenti persuasivi di un messaggio funziona da
potente dissuasore, in quanto intacca le variabili cruciali del processo di
decision-making, l'educazione ai media può aiutare i giovani spettatori,
promuovendo in loro un atteggiamento critico e realista ed aiutandoli a
discriminare ciò che è giusto da ciò che non lo è. Ma per fare questo occorrono
figure adulte con funzione educativa efficace e presenza attenta e disponibile.
Certo che, se pure noi, adulti ed educatori, veniamo travolti e sommersi dal
medesimo caos mediatico e spesso non solo non riusciamo a ritrovare la
direzione, ma anche ne veniamo ugualmente sopraffatti, allora ancora di più
l'adolescente non può che cadere in balia di un processo che può soltanto
subire.
(di Alberto Pellai, Istituto di Igiene e Medicina Preventiva,
Università di Milano)